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           Se non si può affermare con certezza che la chiesa di Santa Margherita sia la più antica esistente nel territorio di Settimo, sicuramente essa risulta quella di più antica attestazione documentaria. Sappiamo che già nel 1154 vi era parroco un prete Iohannes (Giovanni) che è il primo curato settimese di cui finora possediamo il nome; i documenti fanno pensare che almeno fino al XIII secolo i paesi di Settimo, Seguro e Vighignolo, situati all’estrema propaggine settentrionale dell’antica pieve di Cesano Boscone, fossero tutti appartenenti alla parrocchia di Santa Margherita.

  Solo verso la fine del Duecento Vighignolo pare essere parrocchia autonoma, mentre la comunità di Seguro raggiunse la parrocchialità alla fine del 1604. La storia della parrocchia di Cascine Olona, infine, inizia dopo la seconda guerra mondiale. Nei lontani secoli dell’età di mezzo esistevano comunque già le diverse chiese che poi costituirono le parrocchiali dei secoli successivi: si trattava di semplici chiese di campagna, dalla struttura e dall’arredo essenziale, tanto che tra il XV e il XVI secolo si procedette alla loro ricostruzione in quanto tutte, oltre che sottodimensionate per la cresciuta popolazione, presentavano segni evidenti e preoccupanti del passare del tempo. Tale sorte toccò anche alla chiesa di Santa Margherita, che venne riedificata dal curato Fabrizio Balbi nel 1534.

  Il Balbi apparteneva ad una famiglia di antichissima presenza sul territorio, che da sempre era la principale proprietaria del paese: il suo atto di generosità viene ancora oggi ricordato da due lapidi che attualmente sono murate sul lato esterno destro della parrocchiale, ma che si trovavano sulla fronte dell’edificio ricostruito da don Fabrizio. La chiesa del Balbi era una cappella rettangolare di circa venti metri di lunghezza, con una navata unica con tetto sorretto a travi, disposta con la facciata sull’attuale via Ciniselli, ossia ruotata di 90° rispetto all’edificio che oggi vediamo. L’abside della chiesa di Fabrizio coincideva con l’attuale sacrestia vecchia, che quindi nelle sue linee generali è l’unica testimonianza, con le lapidi, dell’antico edificio. Per figurarci come esso dovesse apparire possiamo fare riferimento alle (purtroppo) rovine di San Sebastiano presso il cimitero di Vighignolo.

  Come si giunse all’attuale Santa Margherita? La chiesa del Balbi fece egregiamente il suo servizio fino alla fine del XVIII secolo, quando l’incremento della popolazione e soprattutto l’incuria iniziarono a renderne pesantemente precarie le condizioni. La chiesa era troppo piccola e a nulla servirono, all’inizio degli anni 1850, alcuni modesti ampliamenti effettuati. Ma preoccupava soprattutto il tetto e le pareti, che presentavano vistose crepe. Il parroco Pietro Barchetta e la fabbriceria della chiesa (ossia l’organo che la amministrava) concepirono l’idea di ricostruire completamente l’edificio ritenendo inutili ulteriori riparazioni provvisorie e nel 1858 anche l’amministrazione comunale di Settimo diede il proprio appoggio varando un contributo comunale per l’impresa. I tempi, tuttavia, non erano maturi: i fatti del 1859 – 1860 (ossia la costituzione del regno d’Italia) fecero incagliare il progetto.

  Intanto l’antica chiesa del 1534 deperiva a vista d’occhio. Don Bonfiglio Villa, divenuto parroco di Settimo nel 1877, scriveva che “a tutta ragione non la si dovrebbe chiamar tempio, ma catapecchia e fienile”: agli occhi suoi e dei suoi parrocchiani essa appariva angusta, coi muri sudici e screpolati, le travi e il tetto piegati e sconnessi. Al di là dei pericoli di cedimento strutturale, le condizioni dell’edificio creavano non pochi problemi sanitari, denunciati anche dalle autorità civili: “d’inverno vi si patisce un freddo di Siberia e d’estate vi si sente soffocare per la caldura, e peggio pei miasmi che mandano mille persone pigiate come acciughe”.

  Il paese tuttavia era troppo povero per poter affrontare le spese di una ricostruzione totale, mentre l’antico provvedimento municipale del 1858 riposava nel cassetto. Nel febbraio 1884, finalmente, la giunta presieduta dal sindaco Carlo Cambiaghi Locatelli, proprietario in Vighignolo, rispolverò l’idea di un restauro e ampliamento, assegnando un forte contributo comunale. Attorno al Natale 1885 una delle travi del tetto si crepò paurosamente. Immediatamente la Prefettura ordinò la chiusura al culto dell’edificio, mentre la giunta provvedeva a puntellare il soffitto; soltanto nel febbraio 1886 la parrocchiale poté venire riaperta al culto, ma ormai era chiaro che occorreva atterrare l’edificio e ricostruirlo più grande, più sicuro, più igienico.  Già, ma dove? Venne proposta l’area dove oggi sorge la Cooperativa del Popolo; alla fine prevalse l’idea di occupare parte della piazza, cambiando l’orientamento dell’edificio. Tra lungaggini burocratiche e diversi progetti presentati, per più di tre anni i settimesi ebbero la chiesa puntellata e precaria, tanto che durante gli scioperi agrari della primavera 1889 la loro rabbia, oltre che contro proprietari e fittabili, si rivolse contro la chiesa pericolante.

  Una sera di maggio di quell’anno infatti, terminate le funzioni, lo scoppio di una sommossa si tradusse in un assalto all’edificio: i contadini esasperati riuscirono ad aprire una breccia nel muro, e soltanto il coraggioso intervento di don Bonfiglio riuscì a placare gli animi. Il sindaco, il ragionier Felice Cambiaghi fittabile a Seguro, tutto era fuorché amico dei contadini, ma dovette necessariamente provvedere. Il comune stanziò un fondo di 30.000 lire, pari a circa due terzi della spesa prevista per i lavori, e lo stesso Cambiaghi fece intervenire il deputato di Rho, Luigi Canzi, perché premesse per velocizzare le pratiche presso il ministero. I lavori partirono nel luglio 1890 e si conclusero a tempo di record nella primavera 1891; lo sforzo finanziario per il comune fu notevolissimo e si fece sentire per tutto il decennio e oltre. Naturalmente non mancarono offerte private e, come sempre, il lavoro gratuito dei parrocchiani che finalmente vedevano accontentato il loro sogno.

  Ci furono due ulteriori aspetti nella vicenda. Il primo: il progetto originario (redatto dall’ingegner Luigi Bernasconi) prevedeva la realizzazione di una navata a tre campate; ne furono realizzate solo due per risparmiare e la facciata porta ancora oggi alcuni segni di “non finito”. Inoltre, si poté mettere mano al campanile soltanto alcuni anni più tardi (ufficialmente venne inaugurato alle tre del mattino del Natale 1897).Il secondo aspetto fu l’ostilità che la frazione di Vighignolo, già dagli anni Sessanta, ebbe nei confronti di tutta l’operazione, motivata soprattutto dal fatto che anche la quattrocentesca chiesa di Santa Maria Nascente necessitava radicali interventi (nello stesso torno di tempo il parroco Comazzi la descriveva senza mezzi termini come “una spelonca”). Dopo aver chiesto invano di esentare i vighignolesi dal contribuire alla spesa per il tramite della fiscalità locale, i compadroni – elettori di Vighignolo ottennero di avere un numero riservato di consiglieri comunali, per poter meglio difendere gli interessi della frazione contro il capoluogo. Tale separazione rimase in vigore fino a dopo la prima guerra mondiale. Col passare degli anni la nuova chiesa di Santa Margherita venne arredata, dotata dell’attuale organo (1907), decorata con le pitture che molti ancora ricordano, fino agli interventi di restauro e adattamento voluti da don Giovanni Pesci e, ultimamente, da don Sergio Gianelli. (m. m.)

 

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