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           L'autunno, come anche la primavera, è caratterizzato da una certa instabilità del clima. Il passaggio dalla stagione calda (estate) a quella fredda (inverno) avviene in maniera irregolare; dopo giornate di brutto tempo che fanno apparire l'estate un ricordo lontano, ecco sopraggiungere altri momenti di bel tempo prima dell'arrivo definitivo della stagione fredda. Questi repentini mutamenti meteorologici si verificano, non di rado, anche nella prima metà di novembre con conseguente ritorno, per breve periodo, ad un clima mite. Tale periodo viene comunemente chiamato "Estate di San Martino" in ricordo del santo che si festeggia proprio l'11 novembre ......

  ..... il cielo era coperto, piovigginava e tirava un ventaccio che penetrava nelle ossa; per questo il cavaliere era avvolto nel suo ampio mantello di guerriero. Ma ecco che lungo la strada c'è un povero vecchio coperto soltanto di pochi stracci, spinto dal vento, barcollante e tremante per il freddo. Martino lo guarda e sente una stretta al cuore. "Poveretto, - pensa - morirà per il gelo!" E pensa come fare per dargli un po' di sollievo. Basterebbe una coperta, ma non ne ha. Sarebbe sufficiente del denaro, con il quale il povero potrebbe comprarsi una coperta o un vestito; ma per caso il cavaliere non ha con sé nemmeno uno spicciolo.

  E allora cosa fare? Ha quel pesante mantello che lo copre tutto. Gli viene un'idea e, poiché gli appare buona, non ci pensa due volte. Si toglie il mantello, lo taglia in due con la spada e ne dà una metà al poveretto. "Dio ve ne renda merito!", balbetta il mendicante, e sparisce.

  Martino, contento di avere fatto la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto la pioggia, che comincia a cadere più forte che mai, mentre un ventaccio rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se ne vanno. Il cielo diventa sereno, l'aria si fa mite. Il sole comincia a riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello. Ecco l'estate di San Martino, che si rinnova ogni anno per festeggiare un bell'atto di carità ed anche per ricordarci che la carità verso i poveri è il dono più gradito a Dio. Ma la storia di San Martino non finisce qui. Durante la notte, infatti, Martino sognò Gesù che lo ringraziava mostrandogli la metà del mantello, quasi per fargli capire che il mendicante incontrato era proprio lui in persona.

  Martino, nato in Pannonia (odierna Ungheria) nel 316-17, fu obbligato per legge ad entrare nell'esercito che mal sopportò per la dura disciplina, che non condivideva. Nel 339 d.C. compì il gesto che risultò decisivo sia per la vocazione successiva che per l'iconografia.

  Queste esperienze lo indussero a farsi battezzare e ad abbandonare la vita militare. Martino iniziò, dunque, una lunga peregrinazione tra Francia, Italia ed Ungheria, soprattutto nelle campagne e con una fama sempre crescente per i suoi miracoli fra le persone più umili e povere, nonostante l'intenzione di vivere da eremita e pregare Dio isolato da tutti. In odore di santità per i suoi miracoli, fu proclamato Vescovo dalla popolazione di Tours, fondò un monastero che divenne ben presto meta di pellegrinaggi e luogo di venerazione. Tuttavia Martino continuò a battere il territorio per diffondere il Vangelo tra i contadini sino alla scomparsa avvenuta nel 397 d.C.

  Il culto di San Martino presenta un rapporto diretto con il mondo rurale sia perché verso di esso si diresse gran parte della sua predicazione, ma anche perché egli si delinea come "il santo del terreno, colui che apre le vie del seminatore della parabola evangelica", che lascia un seme nell'animo del fedele, così come il contadino lo lascia nella terra.

  Oltre che su questo piano ideale, la saldatura fra San Martino ed il mondo rurale avviene anche su due elementi molto concreti, la solidarietà (episodio del mantello) e l'assiduo vagare per il contado. E' innegabile, infatti, che uno dei cardini del mondo rurale fosse un vincolo di solidarietà ed uno spirito di reciproca assistenza che soccorrevano nei momenti di bisogno più duri del solito. Allo stesso modo i ripetuti spostamenti nella campagna richiamano quelli effettuati dai contadini. I loro trasferimenti avvenivano sempre per necessità, anche se, naturalmente, senza uno scopo evangelico.

  Con la fine dell'annata agraria, giungevano anche a termine i rapporti di lavoro o per la fine del contratto o per disdetta (licenziamento) da parte dei proprietari e di conseguenza i contadini dovevano cercare in altre cascine lavoro e sistemazione. Le operazioni di sgombero e gli spostamenti potevano iniziare qualche giorno prima dell'11 e proseguire non oltre il 12 novembre, visto che dovevano muoversi, con tempi e trasporti diversi, attrezzi, masserizie, persone ed eventuali animali.

  Il detto S.Martìin vèescof, S.Martìin pàapa, S.Martìin scàpa sintetizzava appunto che la partenza, obbligatoria, poteva essere dilazionata al massimo di un giorno. Diventava, allora, estremamente comune vedere interi nuclei famigliari che migravano, in una parentesi di presunta bella stagione, con le proprie povere cose caricate su un carro pesante o medio, a traino equino o bovino o, in tempi più recenti, a traino d'un trattore. Considerato lo stato di miseria, non era infrequente che carri e traino venissero messi a disposizione dal nuovo datore di lavoro per questa contingenza.

  Il trasloco nel giorno di San Martino Vescovo ha costituito una tradizione fondamentale nella civiltà contadina (fàa sanmartin è rimasto nella cultura popolare sinonimo di trasferimento in altra sede con armi e bagagli), venuta meno solo per il mutamento dei sistemi produttivi e dei rapporti sociali ad essi sottesi (anni '50-'60 del XX secolo). Va tenuto presente, in ogni caso, che si trattava di un evento traumatico perché non significava solo cambiare casa e padrone, ma piuttosto portare la propria vita altrove, ricostruire nuovi rapporti sociali, vivere con senso d'incertezza e di preoccupazione il futuro per un vagare forzato o per un lavoro sostanzialmente instabile. A volte alla base di questi trasferimenti forzati vi erano rotture determinate da scontri con il ceto dominante a causa di rivendicazioni ad un trattamento economico più equo ed a condizioni più umane di lavoro e di vita.

  La risposta, di solito, era proprio la disdéta per l'11 novembre.

  Il "fare San Martino" comunemente inteso riguardava soprattutto i salariati fissi, che vivevano in cascina e rappresentavano il personale specializzato dell'azienda agricola, assunto per il periodo dell'annata agraria. Le altre categorie che avevano un legame con l'agricoltura (grande proprietà agraria, piccoli possidenti, avventizi) non praticavano sovente questa consuetudine.

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