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           Alla fine del XV secolo i gentiluomini milanesi scoprirono i piaceri della villa. Per chi poteva permetterselo, possedere un palazzo fuori dalla città dove trascorrere la villeggiatura era un sogno e uno status symbol: significava poter sfuggire alle noie e alle scomodità della vita urbana e nello stesso tempo consentiva di mostrare che, tutto sommato, si possedeva qualche cosa sotto il sole. Proprio a quel torno di tempo risale il palazzo d’Adda di Settimo Milanese, edificio invero piuttosto misterioso quanto alla sua storia più antica.

  É forse soltanto un’ipotesi che il luogo della “casa” più prestigiosa di Settimo fosse anticamente occupato da quel castrum che le pergamene citano anche per il nostro paese; la “casa da nobile” comunque, dotata di grande giardino e di rustici annessi, ha un aspetto tardo cinquecentesco, dovuto probabilmente a Costanzo d’Adda, primo conte di Sale (morto nel 1575), e a suo figlio Francesco, morto a Settimo nel 1644. E’ da attribuire proprio a Francesco d’Adda il periodo di massimo splendore del palazzo. Il conte preferiva infatti abitare tutto l’anno nel nostro paese: nella villa, in cui aveva allestito una prestigiosa collezione, egli teneva corte circondato da poeti e musici, mentre con successive acquisizioni il patrimonio settimese della famiglia giunse a toccare le 4000 pertiche, rendendola così la maggior proprietaria del paese. Durante gli anni di Francesco capitò peraltro che nel salone grande del palazzo si tenessero, nella stagione invernale, le assemblee della comunità, che abitualmente si svolgevano nella piazza della chiesa: un’anticipazione di un uso “comunale” della residenza che, come vedremo, ha origini molto più recenti.

  Dopo la morte di Francesco il casato subì qualche contraccolpo della crisi economica generale di metà Seicento. Non mancarono però lavori di miglioria anche di un certo peso: con Costanzo III, all’inizio del XVIII secolo, venne allestita fuori dal fabbricato, in un punto non precisato, una cappella, poi trasferita all’interno della residenza. I figli di Costanzo,Francesco III e Ferdinando (l’abate fondatore della Causa Pia) pare soggiornassero di rado a Settimo. Rimasto unico erede della famiglia dagli anni 1770, l’abate Ferdinando trascorse il resto dei suoi giorni (morì nel 1808) alla Montagnola di Arcore, più rispondente ai suoi gusti da eremita e dotata di maggiori comfort.

  Con la fine dei fasti aristocratici comincia paradossalmente l’epoca nella quale, tutto sommato, siamo più informati sulle vicende del palazzo. Se i grandi saloni del corpo centrale rimanevano con tutta probabilità semplicemente disabitati, l’ala nord e l’ala sud videro la presenza, già nel Seicento, del fattore del tenimento di Settimo e di altri inquilini, rurali ma soprattutto, come si diceva una volta, civili: già all’inizio dell’Ottocento infatti, oltre all’agente del proprietario, vi trovavano alloggio il medico condotto del paese, un maestro che in una stanza faceva scuola, e il coadiutore della parrocchia, cui la Causa Pia d’Adda forniva gratis l’abitazione.

  Con la fine del Settecento il palazzo vide istallarsi una figura nuova nella società agricola lombarda, destinata ad un ruolo da protagonista fino a Novecento inoltrato: quella del fittabile, che per nove o dodici anni rinnovabili prendeva in locazione tutto il podere della Causa Pia, provvedendo poi alla coltivazione e all’allevamento mediante subaffittuari o salariati.

  Dal 1852 al 1919 la famiglia milanese dei Bianchi ebbe ininterrottamente l’affitto del tenimento d’Adda di Settimo. Antonio Bianchi, morto nel 1864, fu anche il primo sindaco “italiano” del paese; suo figlio rag. Emilio, morto nel 1890, fu pure sindaco dopo un intermezzo in cui lo era stato suo zio, l’ing. Giuseppe Bianchi. A sua volta l’ing. Guido Bianchi (1864 – 1954) fu sindaco dal 1908 al 1919. I fittabili abitavano l’ala settentrionale del palazzo, quella con il portico a tre arcate, più recente e comoda; siccome dal punto di vista della storia agricola il grande affitto è collegato alla crescita della bachicoltura, non ci stupisce scoprire come per buona parte del XIX e nei primi decenni del XX secolo i locali oggi occupati dall’amministrazione comunale fossero adibiti nientemeno che a enorme bigattiera, all’occorrenza trasformabile (come ad esempio nel 1831) in ospedale e lazzaretto per colerosi. Nel primo dopoguerra tuttavia Guido Bianchi venne costretto a rescindere il pluridecennale contratto che legava la sua famiglia alla Causa Pia d’Adda e dunque al palazzo. Il motivo è da ricercare nei rivolgimenti sociali e politici di quei turbolenti mesi, quando l’agguerrito partito socialista settimese, che già nel 1911 aveva costituito la Cooperativa di Cascine Olona, iniziò una serie di agitazioni volte ad ottenere miglioramenti per i dipendenti Bianchi. Nel maggio 1919 venne costituita una Cooperativa agricola, presieduta da Emilio Oldani, che attraverso scioperi e pressioni si propose alla Causa Pia come sostituta dell’ing. Bianchi nell’affitto del tenimento di Settimo, cosa che ottenne dal San Martino di quell’anno. In parallelo Oldani diveniva il primo sindaco rosso del paese, dopo sessant’anni e più di incontrastato “governo dei fittabili”. Per quanto riguarda il palazzo, in realtà, non cambiò nulla:Bianchi conservò fino alla morte l’uso dell’ala nord e del giardino, mentre nei saloni centrali i bigatti della Cooperativa sostituirono quelli dell’ingegnere.

  Da questi eventi discese direttamente l’attuale sistemazione di gran parte dell’edificio a sede comunale. Almeno dalla metà dell’Ottocento gli uffici municipali ebbero sede nella casa che, oggi ricostruita, sorge alla sinistra della chiesa di Santa Margherita. In quei locali si trovavano anche le aule per la scuola elementare del capoluogo, mentre col tempo anche le frazioni vennero dotate di aula scolastica. Tale situazione perdurò anche nel triennio della giunta Oldani, durante la quale il problema di trovare una sede più ampia e adatta per scuole e municipio si era fatto sempre più urgente. Fu Gaetano Barni, primo sindaco fascista del paese, a trovare la soluzione nell’estate del 1923: complici, naturalmente, i tempi nuovi, la cooperativa “venne persuasa” a sgombrare i locali al pianterreno del palazzo, che divennero così sede municipale. Il primo consiglio comunale vi si tenne il 15 novembre di quell’anno; oltre agli uffici e alla scuola, si istallò nel palazzo anche il locale direttorio fascista. Nel 1929 il commissario prefettizio Vittorio Goglio ottenne in affitto dalla Causa Pia anche il piano superiore, lasciato libero ancora una volta dalla cooperativa. Contemporaneamente l’ente proprietario promosse i primi restauri alle pitture cinque – seicentesche, in considerazione del fatto che già nel 1913 l’edificio era stato proclamato monumento nazionale.

  La doppia funzione di municipio e scuola rimase peculiare del palazzo fino agli anni Sessanta. Anzi, fu proprio la presenza della scuola a determinare un importante cambiamento architettonico nel Pasqué, la piazza antistante il cortile d’onore: poiché la sosta degli autobus che trasportavano gli alunni era fortemente ostacolata dall’antica transenna in pietra che la delimitava, questa venne abbattuta nel 1968, mentre resistettero ancora qualche anno i gelsi che, memori del tempo che fu, ombreggiavano l’areae il monumento ai caduti che dal 1925 le stava al centro. (m. m.)

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