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           San Biagio è venerato tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della "benedizione della gola", fatta poggiandovi due candele incrociate, sempre invocando la sua intercessione.

  Biagio, vissuto nel IV secolo, era vescovo di Sebaste in Armenia e molto probabilmente medico prima della sua consacrazione episcopale.

  Secondo la leggenda, durante la persecuzione di Licinio in Oriente nel 314, Biagio fu costretto a rifugiarsi in una grotta sul monte Argeo. Miracolosamente gli uccelli insieme con altri animali gli portavano cibo; ogni sera si radunavano davanti alla caverna aspettando la benedizione di Biagio che, a volte, guariva col segno della croce gli animali feriti o malati. L'anno seguente cominciarono a Sebaste i preparativi per festeggiare il quinto anno di regno dell'imperatore Licinio. Era la fine di gennaio del 315: poiché occorrevano fiere per le feste negli anfiteatri, s'inviarono cacciatori sul monte Argeo per catturarle. Un gruppo capitò per caso davanti alla grotta assistendo ad uno spettacolo inconsueto: le belve stavano pacificamente ad aspettare che Biagio le benedicesse. Sconvolti dalla scena, raccontarono tutto al prefetto Agricolao che ordinò l’immediata cattura del vescovo. Quando il giorno seguente i pretoriani giunsero alla grotta, Biagio comprese che era giunta l'ora del martirio e li seguì senza ribellarsi.

  Mentre stava scendendo a Sebaste, una donna si fece largo tra la folla dei curiosi e depose ai piedi del vescovo il figlioletto che stava morendo soffocato da una lisca di pesce conficcata nella gola; Biagio pose le mani sulla testa del fanciullo, un istante dopo il ragazzo era salvo. Da questo episodio è nato il patronato sulla gola.

  Per questo motivo nel giorno della sua festa il sacerdote tocca la gola dei fedeli con l'imposizione di due candele incrociate che sono state benedette alla vigilia, alla Candelora.

  Proseguendo il viaggio verso la città Biagio incontrò una donna disperata perché un lupo feroce aveva catturato il suo unico maiale. “Donna, non ti affliggere” rispose il vescovo alla sua richiesta di aiuto “lo riavrai presto”. E subito arrivò il lupo restituendo docilmente il maiale. Questo episodio ha ispirato, o meglio giustificato, insieme con la leggenda delle fiere che aspettavano la benedizione all'entrata della grotta, il suo patronato sugli animali.

  In realtà questo patronato, non diversamente da quello sugli agricoltori, come si è già accennato, riflette riti precristiani di purificazione dei campi e del bestiame durante l'inverno.

  Finalmente il corteo con il prigioniero entrò a Sebaste. Quando Biagio vide nel Foro le statue degli dei le fulminò con lo sguardo facendole crollare: quel gesto fu più eloquente di tante parole.

  Dopo qualche giorno di carcere il prefetto lo fece condurre in catene fino al suo palazzo e, siccome il vescovo si rifiutava di sacrificare agli dei, ordinò di torturarlo con la fustigazione a una colonna. Anche il secondo interrogatorio non servì a nulla nonostante l'orrenda tortura: i carnefici gli slogarono braccia e gambe; poi lo straziarono con pettini di ferro. A questo episodio si sono ispirati molti pittori che lo hanno raffigurato con il pastorale in una mano e il pettine di ferro nell'altra. Curiosamente car­datori e tessitori lo hanno assunto come loro patrono per la somiglianza dei loro strumenti con i pettini e gli uncini di ferro usati nel martirio. Per completare l'opera, narrano gli Atti, Biagio venne rinchiuso in una corazza rovente e poi rigettato in carcere. Fra la gente che assisteva alla tortura vi erano anche sette pie donne che avevano inzuppato panni e fazzoletti nel sangue rimasto sul patibolo, considerandolo un sangue santo; ma i pretoriani se ne accorsero e le condussero dal prefetto accusandole di essere cristiane. Vennero dapprima torturate, poi scarnificate, abbrustolite su sedie arroventate e gettate nelle fiamme. Ma miracolosamente sopravvissero per mostrare la potenza della loro fede. Infine vennero decapitate alla presenza di due giovinetti che erano stati battezzati e cresimati precedentemente da Biagio.

  La fantasia popolare trasformò le sette pie donne in sette sorelle di Biagio morte, chissà perché, per il mal di gola nonostante il portentoso fratello. Anche per il vescovo di Sebaste era giunto l'ultimo atto. Dopo un terzo interrogatorio il prefetto ordinò che fosse gettato in uno stagno con un sasso legato al collo. Il sasso calò nell'acqua mentre il santo risaliva alla superficie e camminava sulle acque. E fra lo stupore dei presenti si udì la sua voce sfidare i pagani: “Se volete dimostrarmi che i vostri dei sono potenti entrate in questo stagno e camminerete pure voi sopra le onde”. Ottanta uomini accettarono la prova annegando. Allora un angelo del Signore, illuminandolo con una luce intensa dal cielo, gli disse: “Ora va' a ricevere la corona che Iddio ti ha preparato”.

  Così avvenne: Biagio tornò a riva e il giorno seguente fu decapitato insieme con i due giovinetti.

  Era, secondo la tradizione, il 3 febbraio del 316, giorno divenuto la sua festa liturgica.

  Il corpo di S. Biagio fu sepolto nella cattedrale di Sebaste, ma nel 732 una parte dei resti mortali venne imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Un'improvvisa tempesta interruppe però il loro viaggio a Maratea (Potenza). Qui i fedeli accolsero le reliquie del santo in una chiesetta, che poi divenne l'attuale basilica, sull'altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande statua del Redentore, alta 21 metri. In ogni modo Maratea non è la sola cittadina a vantarsi di possedere reliquie di san Biagio. Vi sono, sparse per l'Europa, quattro teste, otto braccia e decine di dita, denti e piedi. La gola invece era venerata una volta nella chiesa romana di San Biagio del Cantu secuta, detta popolarmente San Biagio alla Pagnotta, e fu poi trasferita sotto Eugenio IV (1431-1447) nel Tesoro di San Pietro.

  Anche per i milanesi San Biagio è una figura famigliare, ha il suo posto tra le statue che adornano le guglie del Duomo, protegge i fedeli dalle affezioni alla gola e, a questo scopo, chiede a ciascuno di rinunciare, la notte di Natale, ad una piccola porzione del suo panettone, che deve essere poi consumata, con fede taumaturgica, al mattino del 3 febbraio a digiuno, “per benedire la gola”, che in questo modo, si dice, sarà protetta tutto l'anno.

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