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           Si avvicina il Natale e con esso tornano alla mente, provocando in qualche caso dei veri e propri attacchi di panico, la lista dei regali da fare, il portafogli che si svuota, le interminabili tombolate con i parenti, le visite, gli auguri da spedire.

  Ma poi ci si ricorda che il Natale è anche il momento in cui "ci si sente più buoni"; fuori fa freddo e se magari nevica è ancora più bello stare in casa, davanti al caminetto, a godersi la compagnia delle persone care.

  E poi non è mica bello passeggiare per il centro di Milano, con tutte le vetrine illuminate, i rametti di vischio, le luci, i tappeti rossi sui marciapiedi?

  Il Natale ci riporta invariabilmente all'infanzia e alla dolcezza di quella stagione e, di dolcezza in dolcezza, ci fa ricordare il Dolce per eccellenza della tradizione ambrosiana, il panettone.

  Che festa quando lo si porta in tavola dopo l'invariabile sequenza ravioli - lasagne - anatra - arrosto - frutta secca, specialmente se si è provveduto a metterlo in caldo per far sì che diventi bello moresino, come si dice da noi!

  Il panettone fa bene al cuore e alla gola, in tutti i sensi: soddisfa il nostro connaturato desiderio di cose buone e ha anche, nella nostra religiosità popolare, la funzione di preservare proprio dal mal di gola.

  E' noto infatti come ancora oggi si usi conservare una fetta del panettone di Natale per farlo benedire a san Biagio, il 3 febbraio, per continuare anche a casa il rito della benedizione della gola che si tiene in chiesa con le due candele incrociate.

  Le origini del panettone sono avvolte nella leggenda: tre varianti di essa sono contenute nel bel libro di L. Maragnani e F. Fava, Leggende e storie milanesi, edito dalla Libreria Meravigli (che può anche essere un bel regalo di Natale).

  Si racconta che, durante un banchetto natalizio alla corte di Ludovico il Moro, alla fine del Quattrocento, i partecipanti fossero stati allettati dalla promessa di un segretissimo e squisito dolce confezionato dal capocuoco proprio per le occasioni speciali. Ma il dolce andò bruciato nel forno mentre il banchetto era agli sgoccioli. Mentre le cucine ducali sprofondavano in uno psicodramma collettivo, si fece avanti uno sguattero, il Toni, che presentò allo chef un dolcetto che aveva confezionato di nascosto con degli scarti: sembrava una forma dipane, con uvette e canditi. Sempre meglio che niente: il "pan del Toni" venne portato in tavola su un vassoio d'oro e, dopo un attimo di sconcerto del Principe e dei commensali, venne divorato con grande gusto e tanto se ne parlò, che esso divenne il nostro panettone.

  A una coppia di Romeo e Giulietta meneghini è relativa la seconda leggenda. Ughetto, figlio del condottiero ducale Giacometto degli Atellani, abitava presso un prestinaio che aveva una figlia, di cui era innamorato, di nome Adalgisa.

  Le nozze erano impossibili dato il divario sociale tra i due, che però si vedevano di nascosto. Il padre di Adalgisa versava in cattive acque e, per risolvere i suoi problemi, Ughetto si propose in incognito come garzonee,dinascosto,cominciòavariaregli ingredienti del pane fatto dal suo futuro suocero: trasformato infatti il pane in panettone, gli affari migliorarono e il dolce di Ughetto venne adottato come dolce natalizio, mentre Adalgisa e Ughetto poterono sposarsi.

  Sarà stata parente di Ughetto la suor Ughetta che, nella terza leggenda, era la cuoca di un povero convento milanese? La storia non lo dice, ma racconta che essa cercò, con le scarse risorse della dispensa, di preparare una sorpresa per le consorelle. Impastò nel pane il burro, i canditi, le uova, l'uvetta e il tutto, messo in forno, mandava un profumo dolcissimo; portato in tavola, il panettone di suor Ughetta suscitò la gioia delle suore che, da buone milanesi, avviarono una fiorente attività di produzione e vendita di quel dolce, risollevandosi dalla miseria.

  Tre storie gentili, che mostrano i "miracoli" che può fare il nostro dolce: non è anche questo il Natale?

 

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