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      Durante le loro numerose visite alle parrocchie milanesi i collaboratori di Carlo Borromeo e lo stesso arcivescovo poterono notare che il sentimento religioso delle anime loro affidate era certo sincero, ma in molti casi rozzo e, ai loro occhi, superstizioso. Non potevano poi sopportare che durante i giorni festivi i fedeli passassero il tempo nelle osterie e nelle piazze a ballare piuttosto che a venerare Nostro Signore o il santo del giorno.

  “Per la festa del patrono preparano tutto, fuorché le loro anime. Nei paesi della pieve di Cesano (la nostra) fanno venire gente a suonare, e quegli zotici irreligiosi ballano tutto il giorno e bevono a profusione. Ho visto donne non del paese... e bevendo e ballando basta un niente che mettono subito la mano al coltello...” osservava un delegato dell’arcivescovo attorno al 1580.

  Ma perché la festa di Settimo si celebra proprio a Ottobre? Bisogna innanzitutto distinguere la festa del patrono (Santa Margherita a Luglio) dalla festa del paese, che è legata particolarmente al culto rivolto alla Madonna del Rosario, cui è dedicata la festa d’Ottobre.

  La festa del Rosario venne introdotta nel 1571 per volontà di Pio V in ringraziamento della vittoria che la flotta guidata da Giovanni d’Austria aveva ottenuto a Lepanto contro i Turchi: potevano celebrarla con particolare solennità, le chiese in cui era operante una confraternita del Rosario, come nel nostro caso. Siccome le confraternite del Rosario erano in genere femminili, questo può spiegare perché ancora all’inizio del Novecento la ricorrenza fosse chiamata “la festa di donn”. Il parroco Gerolamo Colombo (1896 – 1906) specifica che “è la vera festa del paese”, ma aggiunge un particolare curioso: “celebravasi la prima d’ottobre”, ma fu trasportata alla quarta dal suo predecessore Pietro Barchetta a metà Ottocento.

  Ciò trova conferma in un documento del 1747 che fornisce la medesima collocazione originaria; le fonti tuttavia tacciono sul perché dello spostamento.

  La giornata era scandita da un diluvio di funzioni religiose.

  Le campane iniziavano a suonare a festa dal giovedì; alle 6,15 della domenica squillava la prima scampanata della messa bassa, seguita da quella delle 9,30. Alle 11 si cantava la messa grande, cui frequentemente intervenivano i parroci dei paesi vicini e qualche pezzo grosso (un canonico del Duomo, il prevosto di Cesano). Si teneva il panegirico, e poi tutti a pranzo. Nel pomeriggio, alle quattro, si cantavano vespro e compieta, seguiti dalla processione. Don Colombo osserva tuttavia che questa era “poco numerosa e meno divota: potenza del vino...”.

  Ancora negli ultimi annidell’Ottocento allaseradella festa era tradizione che i promessi sposi del paese si recassero dal parroco per “tirà su el cunsens”. Don Colombo tuttavia abolì questa consuetudine che gli procurava un “impiccio indescrivibile”.

  In quella stessa sera infatti il parroco teneva a cena i preti che servivano per l’ufficio del giorno successivo e non si poteva fare le cose per bene.

  Ma il problema era soprattutto un altro. A poche settimane dal festone iniziava l’Avvento, tempo proibito per i matrimoni che quindi saltavano a Gennaio – Febbraio. Il sospetto era che, compiuta la formalità, gli sposi potessero ritenersi in certo senso già sposati e quindi “commettere abusi”.

  Alle 5 del lunedì mattina iniziavano le messe basse in suffragio dei morti del paese. Era il giorno dell’Ufficio Generale. Alle 10,30 il clero, solennemente e lugubremente parato di nero, supplicava per loro l’Onnipotente cantando il Miserere, mentre alle quattro una processione affollatissima (questa sì) raggiungeva il cimitero. Adessa partecipavano anche gli uomini i quali si ascoltavano una messa alla mattina e poi partivano, a piedi, per la fiera di Rho che coincideva in genere con la ricorrenza; ma rientravano perla funzione.

  Non ci sono testimonianze sulla presenza di bancarelle o attività ricreative per anni così remoti; non è impossibile pensare tuttavia alla presenza di qualche venditore di firuni e leccornie varie.

  Le note del collaboratore di San Carlo riportate all’inizio mostrano peraltro che nel giorno della festa la gente non si limitava a pregare, anzi aveva unavoglia matta di divertirsi.

  Era, certo, un giorno di festa: ma prima della messa bassa antelucana i settimesi di quegli anni dovevano andare a “regulà i besti”, nel clima già freschetto di fine Ottobre. Anche alla sera, rientrati dalla funzione o dall’osteria, si doveva passare per la stalla. Rientrati in casa, era pronta la polenta o una zuppa di verdure, cibo quotidiano; per fortuna che entro qualche settimana si sarebbe ammazzato il maiale, per chi ce l’aveva.

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